Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari (1613)

Introduzione

L’accademico linceo Francesco Stelluti in apertura dell’Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari celebrava in versi un’importante scoperta di Galileo: al telescopio il Sole appariva cosparso di macchie scure [V, 92]. Il volume segnava l’apertura di un nuovo fronte polemico per Galileo, opposto questa volta non alla goffaggine empirica di «alcuni severi difensori di ogni minuzia peripatetica» [V, 190], ma al più rigoroso argomentare di un matematico ed astronomo competente e capace: il gesuita tedesco Christoph Scheiner (1573-1650).

Con tre lettere inviate al duumviro di Augsburg Mark Welser (1558-1614) in data 12 novembre e 19 e 26 dicembre 1611 lo Scheiner, sotto lo pseudonimo di Apelles latens post tabulam (Apelle celato dietro la tela, secondo la leggenda del pittore greco Apelle che si nascondeva dietro le proprie tele per ascoltare le eventuali critiche del pubblico) annunciava di aver osservato al telescopio dei «fenomeni nuovi e pressoché incredibili» in prossimità del Sole: delle macchie scure, simili a chiazze nerastre. Escluse cause esterne come un difetto dell’occhio, una cattiva qualità delle lenti o perturbazioni atmosferiche, le macchie dovevano esistere realmente nel Sole stesso o in qualche parte del cielo circostante. Apelle sosteneva decisamente la seconda ipotesi, assimilando le macchie a corpi celesti situati tra noi e il Sole o in movimento attorno ad esso, ed escludendo a priori qualsiasi corruzione della sua superficie.

Le Tres epistolae de maculis solaribus dello Scheinerfurono raccolte in volume e stampate ad Augsburg nel gennaio del 1612 per cura dello stesso Welser, che ne inviò una copia, fra gli altri, a Galileo, sollecitando un suo parere. La risposta si fece attendere per un bel pezzo, arrivando solo il 4 maggio, indirizzata al Welser e seguita nei mesi successivi da altre due lettere (una del 14 agosto e l’altra del 1° dicembre). Nel marzo del 1613 le tre lettere di replica allo Scheiner vennero riunite e pubblicate a spese dell’Accademia dei Lincei, col titolo Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari e loro accidenti.

La tesi di Galileo e le sue conseguenze

Galileo aveva sicuramente avuto occasione di osservare le macchie solari già diverso tempo prima dell’exploit dello Scheiner, come attestato da parecchie testimonianze, ma il dibattito sulla paternità della scoperta rimase aperto per molti anni.

In contrasto con lo Scheiner, per Galileo le macchie solari non erano “stelle” orbitanti attorno al Sole, ma concrezioni adiacenti alla sua superficie [V, 234]. La presenza di materia oscura in prossimità del corpo solare andava a colpire per l’ennesima volta l’idea sempre più pencolante dell’assoluta perfezione ed immutabilità della sostanza celeste. Nell’Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari, Galileo darà per la prima volta la propria spiegazione, ricorrente negli anni a seguire, della pervicacia peripatetica nel «mantenere la materia celeste aliena [...] insino da ogni piccola alterazioncella» [V, 234], contro l’evidenza delle osservazioni: nulla più che la proiezione tutta psicologica nel campo naturale di angosce e timori esclusivamente umani, in particolare quello della degenerazione fisica e della morte [V, 97].

Eliocentrismo e moto terrestre, corruttibilità e fluidità dei cieli, principio di inerzia e di relatività, nuova concezione del moto: un’originale, integrale immagine del mondo. La Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari metteva per la prima volta in evidenza un aspetto cruciale della scienza galileiana: l’appartenenza di tutti i fenomeni dell’universo ad un identico sistema di leggi regolatrici contro la separazione tra sfera celeste e regione elementare, caposaldo fra i più importanti del mondo aristotelico. In questo nuovo scenario i medesimi principi esplicativi vigevano ovunque e rendevano ragione dei fenomeni a prescindere totalmente dal luogo in cui si fossero manifestati. Pur nella specificità dell’argomento, il volume sulle macchie solari era perciò il primo in cui Galileo desse vita a un nuovo assetto della realtà, delineando il metodo di una vera e propria philosophia naturalis, radicalmente alternativa a quella della tradizione.

La prima lettera

Nella prima delle lettere al Welser [V, 94-113],Galileo non si sbilancia riguardo alla natura specifica del fenomeno delle macchie solari [V, 95]. Secondo lo Scheiner, visto che la loro posizione non si riproponeva ciclicamente identica per la rotazione del Sole su se stesso, era da escludersi in assoluto una loro contiguità rispetto alla superficie solare. Ma per Galileo la falsa premessa che le macchie fossero permanenti e non mutassero mai la propria figura inficiava tutte le conclusioni dell'avversario, smentendone tra l'altro l'ipotesi che fossero stelle o astri, visto che le macchie cambiano continuamente le proprie figure e dimensioni, arrivando addirittura a formarsi e a svanire durante il percorso lungo la circonferenza del Sole.

La perplessità sulla vera natura delle macchie costringeva comunque Galileo a un'estrema cautela: «non però affermo o nego che le siano nel Sole, ma solamente dico non esser a sufficienza stato dimostrato che le non vi siino». Cautela che però evaporava quando si trattava di esaminare il comportamento dei pianeti del sistema solare: Venere manifestamente ruota intorno al Sole «conforme alle posizioni de i Pitagorici e del Copernico», e intorno al Sole, «come centro delle lor revoluzioni, si raggirano tutti gli altri pianeti». E perché allora bisogna produrre «ragioni soggette a qualche risposta, ben che debole, per guadagnarsi l'assenso di quelli la cui filosofia viene stranamente perturbata da questa nuova costituzion dell'universo»? Da una questione tecnica e osservativa a conclusioni di carattere cosmologico il passo era breve [V, 99-101].

Riconoscendo ad Apelle una consapevolezza maggiore rispetto alla media nel trattare una materia messa sotto sopra dalla valanga di scoperte telescopiche che ne avevano mutato radicalmente i contenuti, Galileo ostentava una certa indulgenza verso il suo interlocutore, incapace ancora di «staccarsi totalmente dalle già impresse fantasie, alle quali torna pur talora l'intelletto abituato dal lungo uso a prestar l'assenso» [V, 102]. Dopo aver passato in rassegna le conclusioni che lo Scheiner aveva tratto dalle proprie osservazioni sulla posizione delle macchie, sul loro moto, sulle loro continue trasformazioni, sulla loro sostanza, rilevandone contraddizioni, inesattezze e la sostanziale indimostrabilità della loro natura di pianeti, Galileo si scusa con Welser, destinatario della lettera, per esser stato troppo lungo e, soprattutto, irrisoluto. Ma la «novità e difficoltà della materia» e le innumerevoli implicazioni della ingovernabile messe di osservazioni lo avevano reso «in guisa timido e perplesso» da non ardire «quasi d'aprir bocca» [V, 103-112].

Eppure apriva bocca eccome poche righe sotto sulle conseguenze metodologiche e filosofiche di questa svolta radicale nell'indagine astronomica. Sicuro di non voler disperare abbandonando un'impresa troppo difficoltosa, confidava che l'inquadramento dei fenomeni osservati potesse aggiungere un tassello al disegno più ampio di conoscenza della realtà naturale, ancora incompresa per carenze metodologiche di fondo:

voglio sperar che queste novità mi abbino mirabilmente a servire per accordar qualche canna di questo grand'organo discordato della nostra filosofia; nel qual mi par vedere molti organisti affaticarsi in vano per ridurlo al perfetto temperamento, e questo perché vanno lasciando e mantenendo discordate tre o quattro delle canne principali, alle quali è impossibile cosa che l'altre rispondino con perfetta armonia [V, 113].

La seconda lettera

Nella seconda lettera [V, 116-182], segnalati gli errori di prospettiva dello Scheiner, dimostrato come le macchie non siano «né erranti, né fisse, né stelle» e che neppure «si muovino intorno al Sole in cerchi separati e lontani da quello», Galileo espone con estrema cautela la propria idea, basata su tre principali certezze osservative: 1) le macchie si formano e si dissolvono continuamente; 2) la loro posizione appare contigua alla superficie solare, e perciò possono considerarsi come del tutto simili alle nostre nuvole; 3) le macchie sono, per così dire, portate in giro dal Sole nel movimento di rotazione intorno al suo asse.

Riguardo ai primi due punti Galileo ribadisce le proprie convinzioni, ormai ben radicate e confermate da osservazioni ulteriori. Resta incerto solo sulla causa della conversione delle macchie attorno al Sole, che potrebbe dipendere dalla rotazione del disco solare, ma anche dal «rivolgimento dell’ambiente» circostante. Galileo propende per la prima soluzione, ritenendola «assai più probabile»: «un movimento costante e regolato, quale è l’universale di tutte le macchie, non par che possa aver sua radice e fondamento primario in una sustanza flussibile e di parti non coerenti insieme» (come sarebbe quella del cielo attorno al Sole), ma parrebbe piuttosto scaturire dal moto di un «corpo solido e consistente», come dev’essere il Sole [V, 116-133].

Un eventuale movimento dell’ambiente circostante produrrebbe una rotazione permanente del corpo solare, che non ha alcuna «intrinseca repugnanza» a tale moto e non è frenato da alcun «impedimento esteriore». «Interna repugnanza aver non può, atteso che per simil conversione né il tutto si rimuove dal luogo suo, né le parti si permutano tra di loro o in modo alcuno cangiano la lor naturale costituzione, tal che, per quanto appartiene alla costituzione del tutto con le sue parti, tal movimento è come se non fosse». Il moto, quindi, riguarda l’intero corpo solare e l’ambiente circostante, ma non è avvertito a livello delle sue singole parti: è perciò un moto relativo. Aiutandosi con l’esempio di una nave che, «avendo una sol volta ricevuto qualche impeto per il mar tranquillo, si moverebbe continuamente intorno al nostro globo senza cessar mai, e postavi con quiete, perpetuamente quieterebbe, se nel primo caso si potessero rimuovere tutti gl’impedimenti estrinseci, e nel secondo qualche causa motrice esterna non gli sopraggiungesse», Galileo caratterizza questo moto solare anche come un moto inerziale, frenabile cioè, una volta iniziato, solo da eventuali agenti esterni. Dato tutto questo, «dovendosi… in ogni modo por nel Sole l’apparente conversione delle macchie, meglio è porvela naturale, e non per participazione», derivante cioè dal movimento del Sole e non dell’ambiente che lo circonda  [V, 134-135].

La lettera prosegue illustrando il metodo ideato da Benedetto Castelli (1577/8-1643) per osservare col cannocchiale e disegnare le macchie solari senza danni per la vista [V, 136] e dopo aver indugiato nuovamente sull’inconsistenza della teoria aristotelica dell’incorruttibilità dei cieli, si conclude con una serie di disegni delle macchie solari come osservate da Galileo dal giugno all’agosto del 1612 [V, 145-182].

La terza lettera

L’esordio della terza lettera [V, 186-239] è tutto filosofico. Che cosa può arrivare a conoscere l’uomo con la sua attività di ricerca? «O noi vogliamo specolando tentar di penetrar l’essenza vera ed intrinseca delle sustanze naturali; o noi vogliamo contentarci di venir in notizia d’alcune loro affezioni». Conoscere è conoscere la natura nei suoi primi fondamenti vitali o è cercare semplicemente di capire il suo funzionamento? Galileo non ha dubbi.

Il tentar l’essenza, l’ho per impresa non meno impossibile e per fatica non men vana nelle prossime sustanze elementari che nelle remotissime e celesti: e a me pare essere egualmente ignaro della sustanza della Terra che della Luna, delle nubi elementari che delle macchie del Sole; né veggo che nell’intender queste sostanze vicine aviamo altro vantaggio che la copia de’ particolari, ma tutti egualmente ignoti, per i quali andiamo vagando, trapassando con pochissimo o niuno acquisto dall’uno all’altro.

La ricerca delle essenze ultime comporta una serie di domande infinita, perché ogni risposta cercata genera una nuova domanda, e dopo infinite domande si scoprirà di non aver accresciuto la conoscenza di un millimetro. Cercando ad esempio la sostanza delle nuvole, si scoprirà che è un vapore, allora si vorrà sapere che cosa sia il vapore e si scoprirà che è acqua condensata; si vorrà allora sapere che cosa sia l’acqua e si scoprirà che è quel fluido che scorre nei fiumi, col quale noi abbiamo continuamente a che fare. E questa «notizia dell’acqua» è soltanto «più vicina e dependente da più sensi», ma non approfondisce certo la conoscenza della sostanza delle nuvole, della quale sappiamo esattamente quanto prima. Ma se ci limitiamo a voler capire «alcune affezioni», alcune caratteristiche o comportamenti dei corpi, possiamo arrivare a conoscerle in quelli che ci sono distanti, allo stesso modo, e forse anche meglio, di quanto non possiamo farlo per quelli vicini [V, 187-188].

Dopo un breve accenno alle traiettorie rettilinee delle macchie che dimostrano la perpendicolarità dell’asse solare rispetto al piano dell’eclittica (anche se si sarebbe corretto in seguito, individuando un’inclinazione nell’asse solare, a spiegazione del perché le traiettorie delle macchie appaiano curve per la maggior parte della’anno) [V, 189], Galileo prende spunto da un’osservazione del Welser sulle sue idee intorno ai corpi galleggianti per porre una questione di metodo in funzione antiaristotelica. Che cos’è la filosofia naturale? «Alcuni severi difensori di ogni minuzia peripatetica», per via dell’educazione che è stata loro impartita fin da piccoli, credono che «il filosofare non sia né possa esser altro che un far gran pratica sopra i testi di Aristotele» e li adducono come unica prova delle teorie sostenute. E non volendo «mai sollevar gli occhi da quelle carte»  si guardano bene dallo studiare «questo gran libro del mondo» (cioè dall’osservare direttamente i fenomeni), come se «fosse scritto dalla natura per non esser letto da altri che da Aristotele, e che gli occhi suoi avessero a vedere per tutta la sua posterità» [V, 190].

Si entra poi nel merito delle questioni astronomiche, a cominciare da Venere, la sua grandezza, la sua posizione e la sua rotazione intorno al Sole. Galileo non è soddisfatto delle dimostrazioni dello Scheiner. «A i molto periti nella scienza astronomica bastava l’aver inteso quanto scrive il Copernico nelle sue Revoluzioni per accertarsi del rivolgimento di Venere intorno al Sole e della verità del resto del suo sistema». Ma «per quelli che intendono solamente sotto la mediocrità» è necessario che si confutino certe comuni obiezioni, cosa che Apelle è ben lontano dal fare [V, 192-199].

Passando poi alle forme e ai movimenti irregolari delle macchie solari, Galileo non comprende come le argomentazioni delle sue precedenti lettere non abbiano indotto il suo interlocutore a correggersi. Apelle ha mantenuto nel tempo sostanzialmente la stessa posizione, che Galileo contrasta nel merito (mantenendo comunque una persistente incertezza sulla natura delle macchie), ma soprattutto nel metodo, nel continuo ricorso alla tradizione, nel fondare le prove delle proprie teorie «su l’opinione, per suo detto, comune di tutti i filosofi e matematici». Ma di fronte alla dimostrazione della verità «l’autorità dell’opinione di mille nelle scienze non val per una scintilla di ragione di un solo» e oltretutto «le presenti osservazioni spogliano d’autorità i decreti de’ passati scrittori, i quali se vedute l’avessero, avrebbono diversamente determinato». E Galileo ammonisce i colleghi: «la natura, sorda ed inesorabile a’ nostri preghi, non è per alterare o per mutare il corso de’ suoi effetti»: i fenomeni che si osservano si manterranno identici nei secoli e saranno oggetto di moltissime osservazioni. Attenzione quindi a non «piegare dalla mira della pura verità» per motivi che nulla hanno a che fare con la conoscenza [V, 199-220].

Nel confutare la presunta natura di stelle vaganti voluta dallo Scheiner per le macchie solari Galileo nega anche l’idea che la Terra, «come opachissima oscura ed aspra che l’è», non sia capace di riflettere la luce del Sole come gli altri pianeti, considerati di sostanza celeste. La Terra è al contrario capace di riflettere sulla Luna la luce del Sole e la Luna, dal canto suo, non è affatto lucida e trasparente [V, 221-225]. Cozza inoltre con le osservazioni telescopiche l’assimilazione fatta dallo Scheiner fra le macchie solari, «instabili sempre e mutabili», «generabili e dissolubili», «oscure sempre e splendide non mai», e i satelliti di Giove, caratterizzati al contrario, da forme, movimenti, tempi regolari e da costante luminosità. Il «desiderio di mantenere il suo primo detto» più che la volontà di stabilire la verità sulle cause dei fenomeni naturali fanno incappare Apelle in un gigantesco errore di metodo: non «potendo puntualmente accomodar le macchie a gli accidenti per l’addietro creduti convenirsi all’altre stelle», accomoda «le stelle a gli accidenti che veggiamo convenirsi alle macchie». Atteggiamento comune ai non pochi filosofi peripatetici che negano o falsano i risultati delle osservazioni astronomiche, pur di difendere l’inalterabilità del cielo, «la quale forse Aristotele medesimo in questo secolo abbandonerebbe» [V, 226-231].

Dopo aver elencato ulteriori elementi osservativi a discarico della tesi sostenuta dallo Scheiner [V, 231-234] ed aver stigmatizzato il rifiuto della corruzione come se fosse sinonimo di distruzione o morte, e non solamente di mutazione o trasformazione («né parmi che ragionevolmente alcuno si querelasse della corruzion dell’uovo, mentre di quello si genera il pulcino»), Galileo offre la propria sottilissima spiegazione, tutta psicologica, di un atteggiamento così antiscientifico: «io dubito che ’l voler noi misurar il tutto con la scarsa misura nostra, ci faccia incorrere in strane fantasie, e che l’odio nostro particolare contro alla morte ci renda odiosa la fragilità» [V, 235].

Con l’ennesima aperta dichiarazione in favore della verità del sistema copernicano, supportata dalle apparenze di Saturno tricorporeo e di «Venere cornicolata», la lettera si chiude [V, 237-239] esibendo anche un nutrito gruppo di efemeridi dei satelliti di Giove per il marzo, l’aprile e il maggio 1613, a dimostrazione della loro regolarità nei moti [V, 241-249].