Paolo Rossi
30 dicembre 1923 – 14 gennaio 2012
Ferdinando Abbri
Università di Siena, Italia
Nuncius 27 (2012) 1–10
Il 14 gennaio 2012 a Firenze Paolo Rossi è morto a causa di una malattia ematologica e con la sua scomparsa la cultura italiana perde una delle voci più significative del secondo Novecento nel campo della storia della filosofia e della storia della scienza.
Nato a Urbino il 30 dicembre 1923 Rossi aveva compiuto i primi studi a Ancona e a Bologna, si era poi trasferito a Firenze dove nel 1946 si era laureato in Filosofia Morale con Eugenio Garin discutendo una Tesi su La libertà (1928), testo del filosofo spiritualista Piero Martinetti che fu il solo filosofo italiano nel 1931 a rifiutarsi di giurare fedeltà al regime fascista. La scelta del testo di Martinetti aveva una significativa valenza etico-politica e a Martinetti Rossi dedicò i suoi primi lavori insieme a edizioni di opere di Carlo Cattaneo. Dopo la laurea e il perfezionamento in Scienze filosofiche Rossi fu impegnato nell’insegnamento liceale a Città di Castello dove incontrò Andreina Bizzarri che è stata moglie e compagna di tutta la vita.
Nel 1948 Antonio Banfi lo chiamò a Milano come assistente volontario presso la cattedra di storia della filosofia. Garin e Banfi possono essere considerati i maestri di riferimento di Rossi; la filosofia di Banfi è stata oggetto di alcuni suoi saggi e nel 1971 Rossi ha dedicato un volume alla memoria di Banfi riconoscendo un debito profondo verso la sua filosofia.
Ancora nel 2011 Rossi ha ricordato che l’essersi laureato con Garin ha costituito per lui un biglietto di presentazione di valore straordinario per una vasta comunità di studiosi perché l’accoglienza riservatagli al Warburg Institute, durante un soggiorno di studio nel 1959, dipese dall’essere stato allievo di Garin, dalla sua provenienza scientifica, era cioè legata alla stima grandissima che gli studiosi del Warburg nutrivano per il suo maestro. Venti anni prima aveva confessato pubblicamente di avere imparato da Garin molte cose ma una gli appariva molto importante: dai manuali si apprendono proposizioni, dei pacifici e ovvi risultati ma dietro questi risultati ci sono processi lunghi e complicati e lo storico ha il compito di ricostruire questi processi; la storia dà il senso delle varietà, delle posizioni, dei contrasti, della persistenza delle tradizioni e del faticoso emergere del nuovo.
A Milano Rossi lavorò presso la casa editrice Mondadori e nel 1954 divenne libero docente di Storia della filosofia, l’anno successivo professore incaricato di Filosofia della storia presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Statale di Milano e nel 1961 divenne professore ordinario di Storia della filosofia, insegnando presso le Università di Cagliari (1961-62), Bologna (1962-1965) e infine di Firenze dove è rimasto sino al 1999. Dell’Università di Firenze Rossi era professore emerito.
Nel 1952 Rossi pubblicò a Milano (Fratelli Bocca Editori) il suo primo volume dedicato a Giacomo Aconcio, l’umanista eretico e in questo volume risultano evidenti i suoi interessi per la cultura umanistica italiana, il Rinascimento e l’influenza degli studi di Garin sull’Umanesimo italiano e di Delio Cantimori sugli eretici italiani del Cinquecento. Nel 2003, dopo cinquanta anni, Rossi è ritornato su Aconcio e i suoi Satanae Stratagemata (1561) in un saggio nel quale sono combinate la ricerca storica – che era lo stile proprio di lavoro di Rossi – e la riflessione filosofica sul tema della tolleranza. Questo saggio conferma che nell’attività scientifica di Rossi il lavoro storico non era disgiunto da una lucida riflessione su problemi eterni e attuali relativi all’ uomo, visto come individuo e come inserito nella vita sociale.
Nel 1957 Rossi pubblicò la prima edizione di uno suoi libri più celebri e importanti dal punto di vista storiografico: Francesco Bacone dalla magia alla scienza. Francis Bacon era divenuto uno dei filosofi di Rossi e gli studi sulla filosofia del Lord Cancelliere, l’edizione italiana dei suoi testi hanno accompagnato l’intera sua vita. Nel suo Francesco Bacone Rossi mostrava le radici rinascimentali del pensiero baconiano, l’importanza della retorica rinascimentale per il nuovo metodo, distruggeva l’immagine positivista del filosofo inglese, indicava nell’intreccio tra magia, ermetismo e nuova filosofia il contesto eterogeneo, spurio dal quale è nata la scienza moderna. In questo volume si ritrova poi una valutazione storico-filosofica del tutto nuova del De sapientia veterum considerato sino ad allora un’opera di rilievo solo letterario.
Questo volume venne tradotto in inglese e pubblicato in Inghilterra e negli USA (1968) e fu salutato da A. Frances Yates come uno studio di fondamentale importanza. L’edizione italiana è stata ristampata nel 1974 (Torino, Einaudi) e nel 2004 (Bologna, il Mulino) e ha conosciuto traduzioni in spagnolo e in giapponese. Il Francesco Bacone di Rossi è considerato dalla storiografia internazionale uno dei libri decisivi scritti su Bacone nel corso del Novecento. Non a caso The Cambridge Companion to Bacon (1996) curato da Markku Peltonen si apre con un saggio di Rossi su Bacon’s idea of science (pp. 25-46).
Lo studio del rapporto tra magia e scienza fra Cinquecento e Seicento, della filosofia baconiana nelle sue varie dimensioni portò Rossi a dedicare la sua attenzione alla valutazione culturale della tecnica e degli strumenti, del sapere degli artigiani e degli ingegneri nell’ Età moderna, ossia alle origini della scienza moderna, della Rivoluzione scientifica. Nel 1971 Rossi pubblicò infatti uno dei suoi libri più fortunati col titolo di I filosofi e le macchine: 1400-1700 (Milano, Feltrinelli) che è dedicato alla ricostruzione della nuova percezione culturale e sociale delle arti meccaniche nel corso dell’Età moderna. Ristampato varie volte questo volume è stato tradotto in molteplici lingue (inglese, francese, spagnolo, magiaro, polacco, giapponese, ecc.) e testimonia che nel lavoro storico di Rossi un approccio di tipo intellettuale, di storia delle idee non è mai andato disgiunto da un interesse per la storia sociale e la sociologia della scienza.
Cassirer, Koyré e Lovejoy erano referenti importanti ma anche E. Zilsel, R.K. Merton e T. S. Kuhn giocavano un ruolo non secondario nella sua ricostruzione della scienza moderna. Nel 2003 Rossi ha pubblicato un saggio dal titolo Sulla scienza e gli strumenti: cinque divagazioni baconiane (in Musa Musaei. Studies on Scientific Instruments and Collections in Honour of Mara Miniati, Firenze, Olschki, pp. 141-153) nel quale non solo rivendicava il rilievo della tradizione baconiana ma anche una visione della Rivoluzione scientifica attenta agli strumenti e alla sperimentazione. In particolare sottolineava che nella scienza moderna à la Koyré non trovavano posto né gli strumenti né le filosofie che ne avevano teorizzato l’importanza.
Lo studio della genesi e struttura della Rivoluzione scientifica e della filosofia moderna portò Rossi a pubblicare saggi su autori di primo piano (Bruno, Galilei, Keplero, ecc.) e su autori meno celebri ma storicamente significativi (gli aristotelici padovani, F. Patrizi, ecc.) e sui molteplici aspetti del nuovo sapere e della modernità. Questo studio è sfociato in edizioni di testi, in raccolte di saggi come Aspetti della rivoluzione scientifica (Napoli, Morano 1971; nuova edizione ampliata col titolo La scienza e la filosofia dei moderni, Torino, Bollati Boringhieri 1989) e ha trovato il suo coronamento ne La nascita della scienza moderna in Europa ( Roma-Bari, Laterza 1997), scritto per la Collana “Fare l’Europa” diretta da Jacques Le Goff.
Nella Premessa a questo volume ribadiva alcuni canoni del suo lavoro di storico della scienza: le teorie scientifiche costituiscono un elemento irriducibile alle condizioni storico-sociali, non sono cioè un riflesso di tali condizioni; la storia ha a che con le immagini della scienza che definiscono le frontiere della scienza o i criteri che consentono di separare la magia dalla scienza o la metafisica dalla scienza, e nella storia emergono alternative, scarti, difficoltà e necessità di scelte per giungere a definire un sapere specifico o una particolare disciplina scientifica; il continuismo è solo una mediocre filosofia della storia che si sovrappone alla storia reale. Rossi è stato per tutta la sua carriera di storico un discontinuista convinto che ha sempre pensato la Rivoluzione scientifica e l’Età moderna come una vera, reale Età nuova che segnò una rottura radicale col passato.
Paolo Rossi ha contribuito in maniera decisiva a porre nell’agenda storica internazionale il problema della magia, della tradizione ermetica, delle origini spurie della scienza moderna ma non hai pensato che la magia e la scienza dovessero essere poste sullo stesso piano: nel 1975 denunciò i rischi connessi all’entusiasmo ermetico nella ricostruzione della rivoluzione scientifica ma questa denuncia non implicava la negazione della centralità del mondo magico nella cultura europea tra Cinquecento e Seicento. Per Rossi Paracelso era un grande e significativo autore, e l’attenzione di Newton per l’alchimia e la tradizione ermetica era come un macigno contro gli assertori di una serena e facile progressività della scienza ma la magia e l’alchimia non stavano sullo stesso piano della razionalità scientifica moderna. Il volume su Il tempo dei maghi. Rinascimento e modernità (Milano, Raffaello Cortina Editore) del 2006 ha una Premessa su magia e scienza nel quale Rossi fa il punto su quaranta anni di lavoro su testi magici e sulle origini difficili del moderno sapere scientifico.
Le denunce degli entusiasmi ermetici, della moda per l’astrologia erano accompagnate da una difesa della razionalità moderna che portò Rossi a smascherare forme di irrazionalismo, di postmodernismo, di oscillazione tra atteggiamenti arcadici (mitizzazione di un passato tutto immaginario) e apocalittici tipici della cultura filosofica, letteraria italiana del Novecento. Nella bibliografia di Rossi si ritrovano vari volumi di saggi – tra cui il Paragone degli ingegni moderni e postmoderni (Il Mulino) del 1989 – che smascherano proprio certe immagini di comodo ma storicamente inaffidabili della modernità, denunciano atteggiamenti irrazionalistici contro la scienza moderna, tentativi di liquidazione della scienza e della tecnica come ad esempio nella filosofia di Martin Heidegger, e si traducono in una difesa della razionalità scientifica. In uno dei suoi ultimi libri dal titolo Speranze del 2008 Rossi contrapponeva le ragionevoli speranze – le ragioni che possono preservare gli uomini dalla disperazione – agli atteggiamenti opposti ma ugualmente inaccettabili dei senza speranza e dei portatori di smisurate speranze.
Rossi era per formazione e professione uno storico della filosofia che ha coltivato la storia della scienza come parte della storia intellettuale e che amava definirsi soprattutto uno storico delle idee. Diversi tra i suoi volumi, come Il Passato, la memoria, l’oblio (Il Mulino, 1991, Premio Viareggio 1992 per la saggistica), Naufragi senza spettatore (Il Mulino, 1995, dedicato all’idea di progresso) o Bambini, sogni, furori (Feltrinelli, 2001), portano l’indicazione di saggi o lezioni di storia delle idee. Pur avendo ben chiari i limiti e i problemi connessi alla storia delle idee di Lovejoy Rossi aveva guardato sin dagli anni sessanta alla history of ideas nordamericana come ad un modello storiografico importante per rinnovare la storiografia filosofica italiana così segnata dalla tradizione idealistica. Nel suo volume di saggi sulla storiografia filosofica dal titolo Storia e filosofia (Einaudi, 1969, nuova edizione ampliata 1975) la storia delle idee risultava essere un innegabile punto di riferimento ma era ben presente la consapevolezza del rapporto stretto tra storia della filosofia e delle idee e la storia della scienza, quindi la necessità per storici della filosofia e filosofi di rinunciare a pretese egemoniche e all’idea dell’onnipotenza della storia o delle teorie.
Nel 1988 Rossi aveva indicato novità significative nella pratica storiografica in Italia: l’ampliamento degli oggetti delle ricostruzioni storico-filosofiche e quella specifica attenzione verso il pensiero scientifico e la storia della scienza che è un tratto caratterizzante il panorama culturale italiano. Il suo capitolo su Filosofia e storia della filosofia, presente nel trattato di Filosofia (Torino, Utet 1995) da lui curato, e il volume (Il Mulino 1999) su Un altro presente. Saggi sulla storia della filosofia confermano la pratica di una storia della filosofia legata alla storia delle idee e contigua alla storia della scienza e del pensiero scientifico.
Nel 1986 Rossi ha pubblicato un volume dal titolo I ragni e le formiche. Un’apologia della storia della scienza (Il Mulino) nel quale difendeva la storia della scienza contrapponendo alle immagini di comodo di capitoli o momenti della vicenda scientifica elaborate dagli epistemologi il lavoro storico fondato su una lettura dei testi, quindi su ricostruzioni documentate. Questo volume conferma quanto con le sue ricerche, i suoi libri, i suoi interventi sulla stampa e in convegni Rossi ha contribuito in maniera instancabile all’affermazione culturale e istituzionale della scienza quale conquista faticosa, difficile, quindi fragile e dunque all’affermazione della sua storia, della storia della scienza come disciplina autonoma riconosciuta proprio in un contesto come quello italiano animato da grandi pionieri (A. Mieli e F. Enriques, ad esempio) che tuttavia poco o nulla avevano potuto fare per la sua istituzionalizzazione nella prima metà del Novecento. La grande Storia della scienza moderna e contemporanea (Utet, 1988) da lui curata voleva testimoniare la crescita di una storia professionale italiana della scienza.
Ne I ragni e le formiche Rossi indicava anche i grandi temi intorno ai quali si stava da tempo svolgendo la sua ricerca storica che comprendeva lo studio dei rapporti tra magia e scienza, le origini della rivoluzione scientifica, i mutamenti ideologici e filosofici rispetto alle macchine e alle tecniche nell’Età moderna e due altre significative tematiche e, accanto a Bacone, un altro grande e amato filosofo, ossia Giambattista Vico.
Nel 1960 Rossi aveva pubblicato (Ricciardi Editore) un volume dal titolo Clavis universalis. Arti mnemoniche e logica combinatoria da Lullo a Leibniz sulla fortuna dell’arte classica della memoria e sull’idea di una lingua perfetta e universale elaborata fra Cinque e Seicento con tutte le implicazioni sul piano delle forme del sapere e della realtà. Volume pionieristico, precedente il classico lavoro su The Art of Memory (1966) di Frances Yates, fu ristampato in un’edizione rivista nel 1983 (il Mulino) - un “fossile restaurato” lo definì Rossi su una copia con dedica della quale mi fece dono a quel tempo – e questa ristampa fu dedicata proprio alla Yates che aveva subito riconosciuto il valore delle ricerche di Rossi sulle arti della memoria e sulla logica combinatoria. La ristampa ha conosciuto una vasta circolazione e il volume è stato tradotto in giapponese, francese, inglese ed è stato considerato come un contributo decisivo, veramente pionieristico su un tema che solo in seguito è diventato di grande attualità storiografica. Va da sé che il tema della memoria ha rappresentato una costante nell’interesse scientifico di Rossi e per i suoi studi su mente e memoria, in chiave storica e filosofica, la Società Psicanalitica Italiana gli ha conferito nel 2008 il Premio Musatti.
Alla fine degli anni cinquanta Rossi cominciò a pubblicare i suoi primi lavori su Vico e la ricerca sul grande filosofo napoletano si è concretizzata in edizioni, saggi, in un volume di studi vichiani dal titolo Le sterminate antichità (Pisa, Nistri – Lischi, 1969) e in volume con lo stesso titolo (Firenze, La Nuova Italia, 1999) ma molto più ampio che raccoglieva quaranta anni di ricerche e studi vichiani. A fronte di interpretazioni consolidate dell’opera e della filosofia vichiane Rossi ha confermato la grandezza filosofica di Vico ma ne ha inserito l’opera nel contesto della cultura italiana e europea del tempo. La sua visione di Vico ha sollevato un gran numero di discussioni e polemiche nella cultura filosofica italiana ma gli studi di Rossi hanno decisamente mutato e innovato la percezione e il significato della filosofia vichiana.
La nuova scienza della storia di Vico gioca un ruolo centrale ne I segni del tempo. Storia della terra e storia delle nazioni da Hooke a Vico (Feltrinelli, 1979) nel quale Rossi si muove tra storia della geologia, i tempi della storia umana e il problema del linguaggio per ricostruire la scoperta del tempo su un terreno complesso nel quale agirono naturalisti, cosmologi, geologi, filosofi e eruditi dell’Età moderna. Libro di grande impatto I segni del tempo dimostravano la capacità di Rossi di orientarsi su contesti assai diversi alla ricerca dei vari discorsi intorno alla storia della terra e alla storia delle nazioni. Tradotto in inglese nel 1984 come The dark abyss of time questo volume conobbe a livello internazionale un’eco molto positiva tra gli storici della scienza e della geologia in particolare.
Nel 1985 l’American History of Science Society conferì a Rossi la Sarton Medal per i suoi contributi di storia della scienza e nella motivazione Charles B. Schmitt sottolineava che Rossi aveva contribuito allo sviluppo della ricerca sulla “Hermetic tradition” ma era stato tra i primi a dissociarsi “from some of the more bizzarre directions in which the enthusiasts were moving”(“Annali dell’Istituto e Museo di storia della scienza di Firenze”, X, 1985, n. 2, p. 138), cogliendo perfettamente la sua posizione. Nel 2002 Rossi ha ricevuto la Medaglia Pictet della Société de Physique et d’Histoire Naturelle di Ginevra e nel 2009 il Prix Balzan per la storia della scienza; membro dell’Academia Europaea e socio nazionale dell’Accademia Nazionale dei Lincei è stato presidente (1980-1983) della Società Filosofica Italiana e primo presidente (1983-1990) della Società Italiana di Storia della Scienza.
Rossi ha collaborato con le istituzioni italiane dedite alla storia e la filosofia della scienza quali la Domus Galilaeana di Pisa, il Centro Fiorentino di Storia e Filosofia della Scienza e l’Istituto e Museo di storia della scienza di Firenze (oggi Museo Galileo. Istituto e Museo di storia della scienza). Con il Museo Galileo i legami sono stati molto stretti sin dai tempi della Direzione di Maria Luisa Righini Bonelli e si sono mantenuti saldamente. Componente del Comitato Scientifico del Museo fiorentino e sin dal 1986 membro del Comitato Scientifico Internazionale della rivista “Nuncius” pochi anni fa Rossi aveva deciso che alla sua morte la sua biblioteca personale di storia della scienza e il suo archivio dovevano essere donati al Museo Galileo.
Rossi era un maestro formidabile, attento, severo ma affettuoso e cordiale, sempre interessato ai progressi scientifici e personali dei suoi “scolari”, e l’influenza del suo insegnamento è testimoniata da un gruppo numeroso di allievi che si sono dedicati alla ricerca nei più diversi campi della storia della filosofia e della storia della scienza. Il riconoscimento del rilievo della sua attività scientifica e formativa a livello nazionale e internazionale è dimostrato dai volumi (Festschrift) a lui dedicati. Nel 1990 Stefano Poggi e Massimo Mugnai hanno curato (il Mulino) una raccolta di saggi dal titolo Tradizioni filosofiche e mutamenti scientifici dedicati a Rossi per i suoi sessantacinque anni; nel 1995 Antonello La Vergata e Alessandro Pagnini hanno curato (La Nuova Italia) un volume di saggi in onore di Rossi dal titolo Storia della Filosofia, Storia della Scienza al quale hanno contribuito gli allievi di Rossi ma anche William R. Shea, Yehuda Elkana, Paul K. Feyerabend, Ian Hacking, Larry Laudan, Nicholas Jardine e George S. Rousseau; nel 2000 Ferdinando Abbri e Marco Segala hanno curato un volume (Arezzo, Università di Siena) dal titolo Segni e percorsi della modernità. Saggi in onore di Paolo Rossi contenente saggi degli allievi più giovani e la bibliografia di Rossi fino al 1999. Nel 2007 John L. Heilbron, con il sostegno del Museo Galileo, ha curato un volume (Leo S. Olschki) di Essays in Honour of Paolo Rossi dal titolo Advancements of Learning al quale hanno contribuito prestigiosi storici della scienza europei e nordamericani.
Nel 1986 Rossi mi chiese di scrivere con lui un Guest Editorial per “Isis” (77, pp. 213-218) dal titolo History of science in Italy e fui particolarmente onorato di scrivere un saggio con il mio Maestro. A quel tempo Rossi era per me il Professor Rossi, in anni successivi divenne semplicemente Paolo e nel corso di quaranta anni non ho mai cessato di imparare da lui e sono ben consapevole che mi mancheranno la sua presenza umana, i suoi consigli, le sue osservazioni critiche. I suoi volumi, i suoi scritti, il suo insegnamento sono una testimonianza eloquente del suo contributo alla storia della filosofia e alla storia della scienza nel secondo Novecento.
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